COVID e obbligo vaccinale per le aziende: alcune riflessioni.

Categoria: Consulenza direzionale, News, Sicurezza e Prevenzione Incendi

Il COVID-19 ha certamente obbligato a rivalutare molti aspetti di vita, sia in ambito lavorativo che personale.

Premesso ciò, si sta iniziando a parlare di obbligo per le aziende di vaccinare i propri dipendenti per il COVID-19, salvo dover adottare misure restrittive o cautelari o – addirittura – disciplinari nei confronti dei soggetti non vaccinati.

Prima di giungere a conclusioni affrettate vale la pena analizzare compiutamente il problema, secondo i paradigmi di legge vigenti.

Partiamo dal presupposto che l’imprenditore non ha ingerenza sulle scelte di tutela della salute del lavoratore dipendente, salvo per quanto può egli stesso cagionargli come conseguenza dell’attività lavorativa prestata. Si innesca quindi un nesso eziologico tra la causa (attività lavorativa) e l’effetto (la patologia o l’infortunio).

Riguardo al COVID-19 vanno fatte due considerazioni principali:

1. ha alta trasmissibilità ma bassa letalità (quindi paragonabile a molte altre patologie trasmissibili nei luoghi di lavoro);

2. non è né un infortunio né una malattia professionale, ovvero manca il nesso eziologico sopra citato.

Facciamo una parallelismo con il vaccino antinfluenzale: l’azienda può proporlo ai dipendenti ma non può obbligarli.

La legge italiana pone il datore di lavoro nella posizione di garanzia “per quanto egli possa fare a tutela dei propri dipendenti rispetto ai rischi propri dell’attività lavorativa” e anche rispetto ai rischi generici ad essa connessi, salvo non ingerire nelle scelte personali di tutela del lavoratore stesso.

Un altro esempio può essere quello dei vaccini per i trasfertisti che vanno in zone a rischio: il datore di lavoro deve accertarsi che il dipendente faccia i vaccini obbligatori per quelle zone e qualora si rifiuti non può mandarlo in trasferta (con relative sanzioni disciplinari fino al licenziamento per giusta causa); il datore di lavoro non può però imporre al dipendente i vaccini consigliati per quella zona, che rimangono nella sua sfera individuale.

Premesso quanto sopra, la situazione della pandemia COVID-19 pone evidentemente di fronte a situazioni nuove e particolarmente complesse, per le quali ogni decisione deve essere attentamente ponderata.

Riesaminando quanto visto negli ultimi mesi, si può certamente affermare che i contagi in ambito lavorativo (ad esclusione del personale sanitario) sono stati percentualmente tra i più bassi. Si può altresì affermare che tutte le aziende hanno potuto implementare efficaci misure anti-COVID-19, grazie alle quali era (ed è tuttora) molto più sicuro il posto di lavoro rispetto agli ambienti extra-lavorativi frequentati (inclusa la propria abitazione).

Parlando del vaccino (nelle sue varie declinazioni) non è noto se potrà dare effetti collaterali a medio-lungo termine né se impedirà la diffusione del virus né quanto limiterà le conseguenze dell’infezione nei soggetti vaccinati.

Ci sembra quindi quantomeno azzardato pensare che l’obbligo vaccinale rispetto ai dipendenti ricada sui datori di lavoro, chiamando in causa l’art. 2087 del Codice Civile e il D. Lgs. 81/08 che non hanno alcuna attinenza con la problematica in esame.

Il COVID-19 è un problema di salute pubblica (come altre pandemie nel passato) e, come tale, deve essere trattato e gestito dalle istituzioni competenti in materia. O si vuole spostare sui datori di lavoro la responsabilità e l’onere del piano vaccinale?

Crediamo che il vaccino potrà dare un importante contributo a sconfiggere il COVID-19 ma la gestione del piano vaccinale dovrà rimanere nella sfera istituzionale, gestita a livello politico con adeguato supporto tecnico-scientifico (di cui sicuramente i singoli datori di lavoro non dispongono).

I datori di lavoro dovranno attivarsi per rispettare le disposizioni di legge e tutelare tutti i lavoratori; coloro che si rifiuteranno di sottoporsi al vaccino accetteranno il rischio e saranno consapevoli fin da subito che nei loro confronti potranno essere adottate misure organizzative atte a tutelare la salute collettiva. Immaginiamo che ciò possa significare Smart e Agile Working, distanziamento interpersonale, dispositivi di protezione individuale, limitazioni di vario tipo all’interno dei luoghi di lavoro. Non di certo sanzioni disciplinari, visto che il lavoratore non sta violando alcun punto del CCNL. Diverso epilogo qualora il vaccino sia reso obbligatorio per legge; in tal caso il datore di lavoro non potrà accogliere nei luoghi di lavoro soggetti non in regola con il piano vaccinale (secondo le relative scadenze). In questa seconda ipotesi ravvediamo la possibilità di sanzioni disciplinari (anche fino al licenziamento) al lavoratore inadempiente, visto che si troverebbe in violazione di un disposto obbligatorio di legge.

Un’ultima considerazione: vista l’attuale scarsa conoscenza dell’effettiva efficacia del vaccino, sia in merito alla limitazione degli effetti del COVID-19 nei soggetti vaccinati, sia per quanto attiene la trasmissibilità del virus da parte di quest’ultimi, è d’obbligo il mantenimento di elevata attenzione e rispetto dei protocolli anti-contagio, salvo rischiare di vanificare gli sforzi fatti e prolungare ancor di più le tempistiche per uscire dalla situazione pandemica.

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